“Libertà”, olio su tavola, di Hussein Al Nasser. Hussein vive in Austria, dove la sua richiesta di asilo è stata respinta. Da cinque anni il suo passaporto è nelle mani delle autorità austriache: non può lasciare la nazione che non vuole ospitarlo né ha il permesso di restare. Ex giornalista, ha lasciato l’Iraq per non piegarsi alle restrizioni alla libertà di stampa.

Dicembre 2015. Il giorno precedente il mio
arrivo previsto ad Atene, la polizia greca
aveva trasferito 3.000 persone dal confine
nord a uno stadio olimpico di Tae Quon Do
nella capitale. Decisi di andarci prima di
proseguire il mio viaggio per le isole.

Ottengo il permesso di accedere allo
stadio tramite una cittadina greca che
ho contattato tramite Facebook. Non
avevo una grande simpatia per il social
network prima dell’organizzazione di
questo viaggio. Per ogni tappa in
programma, avevo stretto contatto con
almeno un gruppo di persone attive sul
territorio, per lo più volontari.
All’interno dello stadio, le autorità
sono diverse, alcune delle quali
autoproclamate. Scelgo la mia, una
guerriera greca nelle proporzioni di un
elfo.
Il mio compito è aiutare ad allestire i
tavoli per la distribuzione dei pasti, tre
volte al giorno. Il numero di persone è
così grande che al termine di un pasto
si inizia a lavorare per il pasto
successivo, sicché non è mai il
momento di distribuire vestiti, scarpe,
prodotti per l’igiene personale.
Il secondo giorno vengo avvicinata da
due ragazzi che chiedono un rotolo di
carta igienica. Ragazzi normali;
vengono alla porta e chiedono per
favore, come in campeggio. Chiedo
l’autorizzazione, più per scoprire dove
trovare la carta igienica nella parte di
stadio adibita a magazzino che non
perché davvero ritenga di doverne
chiedere il permesso.

A quest’ora non distribuiamo carta igienica;
di’ loro di tornare alle 2.

Sono le 10 del mattino; dire a qualcuno

di aspettare quattro ore per andare al
bagno è qualcosa che non avevo
contemplato. Indosso una gentilezza
ebete e comunico il messaggio, che
naturalmente è accolto con un misto di
stupore e imbarazzo. Perché sono
maschi, perché qui non esistono bidet
(forse una decina di docce per tremila
persone), perché i bagni puliti sono
riservati ai volontari. E quindi l’assenza
di carta igienica non è poca cosa.
Torno a chiedere. Cammino in bilico
tra due mondi, quello del buon senso e
uno senza nome, fatto di regole nude e
rigide, a me del tutto nuovo. Cerco una
via di uscita, ma non so dove trovare la
carta igienica; e nessuno sa o vuole
aiutarmi. Spiego ai ragazzi; sono
desolata.

Per favore, insistono, non hai idea dello
stato dei bagni.

Cerco, non trovo.

-Mi dispiace.
E loro si allontanano; senza rabbia,
solo un po’ più piccoli.
In un angolo del cortile, i miei occhi
vomitano lacrime. Mi consola uno
sconosciuto, un nordafricano senza
documenti e senza diritti agli occhi del
nostro continente, e che, al contrario di
me, rispetta l’europea che gli sta di
fronte.
Qualche ora più tardi, conosco ogni
angolo del magazzino. Si è sparsa la
voce che so indovinare le taglie di
scarpe e vestiti. Processioni di persone
sono perennemente in fila alla porta di
servizio. E io non aiuto quasi più ad
allestire i tavoli dei pasti.