Dici che la sofferenza non serve a niente. Ma non è vero. La sofferenza serve a far urlare. Per farci avvedere dell’insensatezza. Per permetterci di notare il disordine. Per scorgere la frattura del mondo. Dici che la sofferenza non serve a niente. Ma non è vero. Serve a dare testimonianza del corpo spezzato. (Jeanne Hyvrard, La meurtritude, 1977. Citazione da Cosa fare delle nostre ferite?, Michela Marzano, 2012)

Siamo tutti impastati di debolezze e di errori;
perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze,
è la prima legge di natura.
Voltaire, Dizionario filosofico

Viviamo in una società che poggia su una base enorme di convenzioni sociali. Prima ancora dell’ordine istituzionale, o quello stabilito da norme e leggi, sono le mutue aspettative a tenere in vita un equilibrio fragile ed estremamente vulnerabile.
Ci si aspetta che le persone si presentino al lavoro e gli amici a un appuntamento; che il destinatario apra le lettere, legga le mail, risponda al telefono; che gli sconosciuti coesistano nel quotidiano senza aggredirsi, per impulso o anche solo per provare che effetto fa.

Esiste una serie di domande standard sul tema della fiducia nelle procedure di selezione del personale e nei test di personalità. Credi che le persone siano generalmente in buona fede? Credi che le persone abbiano in generale buone intenzioni? Mi ero sorpresa a non sapere che punteggio assegnare, da 1 a 5, la prima volta che mi venne chiesto di valutare la mia fiducia nell’altro.
L’importanza di avere fiducia, di essere vulnerabili con gli altri, sembra il solo modo per accettare e gestire quella stessa vulnerabilità.
Questo presupposto rende legittima la percezione dell’offesa: una promessa non mantenuta, una debolezza esposta che ci si ritorce contro. Il nostro dolore ha diritto di asilo non in senso assoluto, ma perché comune è il catalogo delle convenzioni tacite che apprendiamo crescendo, funzionando, osservando.

Siamo isole e fili intrecciati, e ci affanniamo per superare le contraddizioni di entrambe queste dimensioni che sono parte essenziale della nostra esistenza. Scegliamo come essere vulnerabili (sviluppando la nostra individualità oppure investendo nelle collettività che creiamo o alle quali aderiamo) per un’illusione di controllo che non è in nostro potere.

La maggior parte dei lettori di queste righe, nonostante le rispettive identità ed esistenze diverse, può contare su una stabilità data dalla lotteria prenatale che sembra nascondersi dietro le nostre vite. Tanto più stabile il contesto, tanto più grande l’illusione di controllo e potere. La verità è che siamo tanto più vulnerabili quanto più lungo è l’elenco degli immeritati privilegi di cui godiamo.

Il segreto sembra stare tutto nella reciprocità. Ecco perché le differenze spaventano, siano esse culturali o semplicemente una voce fuori dal coro.
La verità è che neppure offrire quello che si desidera per sé sembra aiutare a proteggere l’equilibrio. Proprio in virtù di inevitabili diversità, l’onore per qualcuno è offesa altrui, e le convenzioni sociali che sembrano attribuire ragione al primo potrebbero dover evolvere in nome di nuovi canoni di rispetto.

Invitiamo il dubbio nelle nostre vite. Diamo spazio al pensiero che ci permette di cambiare idea.