“L’uso della maschera è obbligatorio in questo negozio”. Lisbona, 9 settembre 2020 (fotografia di Simona Bonardi)

Cinque turiste si avvicinano al mio tavolo, lo circondano, discutono se scegliere questo ristorante o andare oltre, parlano sopra di me. Penso che forse potrei usare la mia invisibilità per combattere il crimine, ma mi limito a reagire all’assedio: «Dovete allontanarvi e indossare la maschera».

Dal mio arrivo a Lisbona, questa è la prima volta che mi sento “minacciata”. Che non si tratti di indigeni è esemplare. In aereo, sul volo Air Portugal che ha assorbito quelli per Lisbona di cinque compagnie aeree, ho compilato una descrizione dettagliata del mio itinerario e ricevuto un elenco di numeri utili in caso di sintomi COVID. In aeroporto, ho camminato attraverso una fascia colorata che annunciava il controllo della temperatura corporea: non ho capito se si trattasse di qualcosa di automatizzato (come i cartelli stradali che rivelano la tua velocità) oppure se annunciasse controlli a campione. Ho superato la zona senza attivare alcun allarme e mi sono tranquillizzata. La tassista dietro la maschera a fiori mi ha invitata alla disinfezione delle mani utilizzando il prodotto nella tasca del sedile davanti a me. L’hotel ha avviato la procedura di check-in dopo la misurazione della mia temperatura corporea (nessun mio contatto fisico con il termometro) e la consegna del “Kit de Proteção”, contenente disinfettante, maschera azzurra, penna personale per la firma dei documenti. Al ristorante, prima dell’assegnazione di un tavolo, le mie mani sono state raggiunte da un liquido trasparente, inodore dietro la maschera, mentre io prestavo fronte e indice destro per la misurazione della mia temperatura corporea e il controllo del livello di ossigeno nel sangue.

«Il nuovo normale», risponde, senza scomporsi, ogni persona con la quale io abbia toccato l’argomento. E non è soltanto l’apparato turistico a essere diligente, ma la cittadinanza, dalle persone alla fermata dell’autobus ai piccoli negozi. “Dal 2 maggio la maschera è obbligatoria. Grazie per la vostra collaborazione, per la sicurezza di tutti. Benvenuti.”

Cammino verso Rua Rodrigo da Fonseca, alla ricerca di Pereira – il dottor Pereira di Tabucchi, della redazione del Lisboa, di quella torrida estate del 1938, – quando mi imbatto in un regalo inatteso: la Fiera del Libro di Lisbona ai giardini del Parco Edoardo VII sostituisce la seconda destinazione programmata per oggi (ma non Pereira) e soffia via un’opprimente cappa di calura.

Tra gli espositori, un’illustratrice sorridente, parte di un collettivo di due artisti. La maggior parte delle opere in vendita sono state prodotte nel corso del lockdown: “Resta a casa! Ai nostri nonni era chiesto di andare in guerra, a noi di restare sul divano”; “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, disegnato dopo la morte di Sepulveda; “Siamo tutte onde dello stesso mare”, ispirato ai messaggi contenuti nelle consegne di materiale sanitario inviate dalla Cina all’Italia.
«Abbiamo conosciuto il virus più tardi dell’Italia: abbiamo avuto il tempo di osservare e imparare.» La diligenza portoghese nella gestione del rischio del contagio è genuina e priva della coltre di lamentele che ho incontrato in Svizzera e in Italia. Qualcosa di necessario e che non richiede alcuna discussione.

Cammino tra i libri per bambini, i miei preferiti. Acquisto “Migrantes”, un libro senza testo, con viaggiatori dalle teste rosa in aereo e uccelli dalle teste nere in volo sopra il mare – con valigie i primi, con ali sottili i secondi. Sfoglio “Così è la dittatura”, un’opera contenente i ritratti variopinti di dittatori passati e in vita, e quello che i governi da loro guidati hanno in comune. Un Portogallo che sembra ricordare bene la propria Storia – lo stesso Portogallo che apre le porte ai rifugiati, pur faticando a costruire i necessari percorsi di accoglienza.
Insulto mentalmente GoogleMaps che continua ad annunciare percorsi pianeggianti nella città dei sette colli. Forse mi troverò sui passi di Pereira solo attraverso un elenco di indirizzi e punti luminosi sulla mia mappa; e forse la redazione del Lisboa è proprio un’invenzione di Tabucchi. Sussulto al rumore di un ventilatore asmatico e riconosco Pereira nelle pagine che raccontano la coscienza coltivando la società civile.