Lampedusa, 2015. Ritratto della Madonna del Mare, opera di un madonnaro al Santuario della Madonna di Porto Salvo. (Immagine di Simona Bonardi)

che s’abbia a ritrovar con numer pare
di cavallieri armati in Lipadusa.
Una isoletta è questa, che dal mare
medesmo che li cinge, è circonfusa.
Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, canto XL, ottava LV


Luglio 2015, Lampedusa
Tradizionalmente una terra di pescatori, Lampedusa divenne notizia nel 1986, insieme all’attacco
missilistico di Gheddafi verso l’isola. Il mare turchese era entrato in milioni di case attraverso la
TV; quasi da un giorno all’altro, il turismo aveva sostituito la tradizionale attività ittica, meno
redditizia. Nino Taranto, che gestisce l’Archivio Storico Lampedusa, un progetto finanziato
privatamente volto a preservare la storia dell’isola, rivela le cicatrici dell’isola: i resti archeologici
perduti e le aree protette violate da ripetuti abusi edilizi.
Il negozio di Nino, un museo in miniatura, si trova all’estremità occidentale di via Roma, nel cuore
commerciale dell’isola. La mia giornata inizia qui, guardando la Polizia e gli ufficiali della Guardia
Costiera fare colazione nello stesso bar che ho scelto per la mia: un assaggio di normalità locale.
Questo è anche il luogo dove si possono vedere i residenti del centro di accoglienza fare una
passeggiata; raramente sono visti in prossimità dei turisti, più spesso legano con la gente del posto.
Dov’è la stazione?, molti chiedono al loro primo arrivo sull’isola; il sollievo per la sopravvivenza al
mare subito messo in gabbia. Perciò, la sera, Nino ruota lo schermo della TV del negozio verso la
strada e loro apprendono dell’isola su cui si trovano dai documentari dell’archivio.
Vado al centro di accoglienza durante la mia prima settimana. Mi siedo fuori dal cancello e osservo
gli autobus che vanno e vengono, le consegne giornaliere. Le guardie militari per un po’ contestano
la mia presenza, ma alla fine mi accettano come un’innocua stranezza. Guardo le persone che
camminano tra due edifici nascosti alla mia vista; riesco a vedere fino alla coda per la doccia, e ogni
movimento ha l’aspetto e il suono di un sonnambulismo senza emozioni. Nessun volontario è
ammesso all’interno del centro di accoglienza, ma un buco nella recinzione permette agli ospiti
all’interno di uscire e rientrare; a condizione che non si verifichino abusi di questa libertà, il buco è
parte del sistema tanto quanto la sicurezza che lo protegge. Perfetta metafora delle contraddizioni
di quest’isola, quel prezioso buco, che collega una rigida burocrazia all’umanità, è l’essenza del mio
Paese.
Questo è ciò che riempie l’aria quando torno al centro due mesi più tardi, questa volta non da sola;
attivismo, lo chiamano. Ci sediamo sulle rocce sul versante meridionale; abbiamo sorrisi e una
chitarra. Dal nostro punto di osservazione, i residenti sono minuscoli, ma solo perché siamo in alto
su una collina; le persone del posto tra noi confermano che non c’è modo di avvicinarsi oltre.
Musica non è qualcosa che di solito raggiunge questo luogo; le teste ruotano verso di noi non
appena iniziano le note. Esitanti all’inizio le nostre voci; più forti non appena vediamo i volti
illuminarsi – puoi riconoscere un sorriso da molto lontano. Un gruppo di donne ora sta danzando;
le guardie sono meno divertite. Io scrivo BENVENUTO in carboncino sul mio album da disegno
e lo sollevo in alto; braccia tese, sento il mio corpo tremare. Faccio amicizia con una delle donne;
continuiamo a ballare dopo la fine della musica, giochiamo a nascondino con i cespugli dopo che il
mio gruppo se n’è già andato; solo noi due, sorrisi e giochi, ai lati opposti della recinzione.