La stringa rosa. Isola di Kos, 2015. (Immagine di Simona Bonardi)

Dicembre 2015. Isola di Kos.

L’interno del furgone è buio, ma io ho la mia lampada frontale sempre con me. I ragazzi sono bagnati e silenziosi, avvolti nelle coperte ruvide.
È la prima volta che incontro qualcuno appena arrivato dal mare; quando avevano chiesto aiuto per i trasferimenti, il coordinatore aveva guardato nella mia direzione e i miei occhi si erano illuminati. Prima la distribuzione dei vestiti, poi l’accoglienza e infine vedrò le barche: un passo alla volta, avevo pensato.
I ragazzi sono quattro; tre tremano e uno non si muove. Solo tre voci rispondono alle mie domande; non sorridono ma sono vivi. Provo a scaldare il ragazzo che non parla sfregando la sua coperta. So che alcuni muoiono di ipotermia dopo lo sbarco e ho paura. Ero pronta ad accogliere; non a questo.
Nessuna delle mie domande funziona e sono a corto di idee.

– Chi vuole della cioccolata?
La mia borsa, famosa tra i volontari, porta con sé frutta disidratata e cioccolata fondente, che avevo previsto per giornate disordinate e lunghi turni di notte.
I tre sorridono e lui alza lo sguardo; i suoi occhi sono increduli.
Rovescio l’intera borsa al buio; avere tutto ha i suoi effetti collaterali.
Mangiamo tavolette di cioccolata in silenzio, fino alla postazione di distribuzione dei vestiti. E per un momento è normalità.

Le scarpe numero 42 non bastano mai. A tre ragazzi vengono assegnate scarpe da ginnastica; al quarto Espadrillas. Sono scarpe di tela, non adatte per un viaggio su strada in inverno. Lui lo sa; il volontario che gliele ha consegnate lo sa. Ma non c’è altro.
Il ragazzo mi guarda.

Nel frattempo, a un altro ragazzo toccano un paio di scarpe da ginnastica con una stringa sola. Le scarpe sono buone e non ce ne sono altre dello stesso numero.

Pensare in fretta è quello che imparo qui.
Ricordo di avere visto una cintura di pelle morbida per un abito da donna. La cerco al tatto nella cesta in disordine; faccio una prova: a fatica entra nei passanti delle stringhe. La mostro a lui.

– Avrai stringhe di colore diverso. Cosa ne pensi?
Ma lui sorride, un sorriso grande.

– Grazie.
Suggelliamo con sciarpa intonata e risata.

Dodici ore più tardi scopro dove alloggia il ragazzo delle Espadrillas.
Gli consegno un paio di scarpe nuove del suo numero e lui piange.