Accosto di scatto e senza preavviso, abbandonando la fila di auto che lascia Atene. I due ragazzi si guardano attraverso lo specchietto retrovisore, interrogandosi su quanto tempo sia saggio attendere prima di mettere in discussione l’ultima manovra dell’italiana al volante. “Non restituisco questa macchina senza aver guidato con il tetto abbassato.”
Il noleggio auto (quello frequente) è fatto di sorprese. C’è la volta degli interni coperti di pelliccia di cane biondo, e altre in cui stringi tra le mani le chiavi di una BMW cabrio. Oggi è una buona giornata, proprio buona, perché il cielo è azzurro intenso, azzurro Grecia, e tutti e tre stavamo accarezzando in silenzio il pensiero di gettare le nostre preoccupazioni al vento. Una fragorosa risata apre la ricerca collettiva di leve e pulsanti. Il manuale è in greco, ma non siamo turbati. In fondo siamo tre ingegneri.
Viaggi su strada, il profilo capriccioso della costa, una méta e nessuna méta. Perché dovremmo andare sempre e soltanto in campi profughi? Fare cose normali, comprare un libro, giocare con la macchina fotografica, bere fiumi di caffè turco, progettare il menù della cena, affittare un appartamento su Airbnb con vista mare. Fare amicizia con gli indigeni, mischiarsi con i turisti. Ci sentivamo in colpa? Sì, a volte. Ce lo siamo detto? No. Era un po’ come tornare in superficie per prendere ossigeno dopo avere trattenuto il fiato. Al termine del fine settimana, io tornavo alla mia vita di privilegio da lotteria prenatale. Amer e Adnan tornavano alla loro gabbia, l’attesa.
Amer e Adnan vengono dalla Siria. Sono arrivati in Europa in momenti diversi, seguendo la stessa rotta. Hanno frequentato l’università insieme, e si sono incontrati di nuovo in Grecia, al confine, alla chiusura delle frontiere della rotta balcanica. Ci siamo conosciuti in un campo profughi nel nord della Grecia dove erano i miei interpreti.
Immagina di svegliarti te stesso, il tuo vecchio io, spogliato del tuo presente. Puoi continuare a esistere?